Ucoii e moschee: il mondo islamico fa discutere

Da un po' di tempo a questa parte si fa un gran parlare delle attività dell'UCOII, per gli amici “unione delle comunità islamiche in Italia”: si è parlato di un campeggio, organizzato dalle comunità islamiche locali, e si è parlato della realizzazione di una moschea a Jesi. |
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da Daniele Sole
Ricordo, a chi non avesse ancora avuto modo di saperlo, che l'UCOII aderisce al gruppo di “contatto e confronto” con la realtà dei musulmani in Italia coordinato dal Ministero dell'Interno, e alla sua istituzione rappresentava una minoranza in seno alla comunità dei musulmani del nostro paese.
La sua notorietà si è avuta quasi subito, quando su richiesta del ministro tutti i gruppi appartenenti alla Consulta islamica, così è stato nominato il tavolo di coordinamento, presentarono alcune richieste per meglio garantire i rapporti con la comunità islamica italiana: ebbene le loro erano le più retrive, rifacendosi ad un modello di vita musulmana richiamantesi quasi totalmente alla Sharia, salvo piccole aperture. Nonostante il forte sdegno delle altre associazioni, si firmò un documento comune per l'accettazione di alcune proposte, alcune anche dell'UCOII. La cosa strana è che in questi ultimi anni l'UCOII ha sempre maggiormente preso piede, a svantaggio dei gruppi islamici cosiddetti “moderati”, che pure nel nostro paese sono la maggioranza (per ora).
Questo preambolo per portarvi a chiedere: ma ci si può davvero fidare di un gruppo che manifesta in ogni suo atto la volontà di chiarire nettamente le differenze tra due diverse concezioni di esistenza sociale, che opera per prendere il controllo anche politico della società musulmana in Italia presentandosi come fautrice del rispetto di norme comportamentali che sono rivolte alla separazione tra “italiani” e “altri”, nella fattispecie musulmani?
Ora un gruppo di persone, che fa riferimento proprio all'UCOII, propone un campeggio ad Arcevia, che il Sindaco di quella città concede nel nome di un comune confronto di conoscenza. Ad Ancona e Jesi (e tempo fa pure a Senigallia) si proponeva addirittura l'apertura di una moschea, che per come si presentano sarà una diretta emanazione dell'UCOII che l'ha richiesto: si sa infatti che il “controllo” di una moschea di fatto rappresenta il controllo della comunità islamica locale.
Fosse capitato in un contesto di maggiore rispetto reciproco, o da parte di una comunità ben integrata o comunque da un gruppo moderato non avrei avuto nessun problema a concedere tutto ciò, ma non è proprio questo il caso: adesso una moschea viene vista solo come luogo chiuso all'esterno in cui difficilmente o troppo tardi si viene a sapere cosa succede o cosa predica l'imam lì presente, e i casi di Milano, Torino, Perugia non aiutano. Non dico che sia così, dico che è così che attualmente viene visto, e per questo in una situazione come l'attuale la richiesta di aprire una moschea, tra l'altro senza sentire il parere di chi vive in quella zona, è un gravissimo errore da non fare. Qualcuno potrebbe pure obiettare che siamo noi cosiddetti “civili italiani” a non trattare con il dovuto rispetto chi viene da fuori: a costoro rispondo che è mancato un programma serio d'aiuto e d'intervento, ma come manca per “loro” manca anche per “noi”.
In quanti dimenticano che il problema casa, per dirne uno, colpisce indiscriminatamente le famiglie italiane e straniere, con la differenza che spesso la diffidenza degli affittuari a dare le loro case agli stranieri è colpa del comportamento che le persone straniere hanno avuto in passato, che ha generato un sentito dire comune. Questi problemi non c'erano fino a 15-20 anni fa, come mai adesso salta fuori che gli italiani sono razzisti? Possibile che sia solo colpa degli italiani? Anche se è vero che molti oggi ne approfittano,affittando case indegne di questo nome. In compenso chi viene da fuori Italia e lavora con un contratto una casa la trova, tramite il padrone per cui è alle dipendenze, quindi per cominciare basterebbe che finalmente si riuscisse a ridurre drasticamente la piaga del lavoro nero e del caporalato, che vede gli “ex-schiavi” schiavizzare i nuovi arrivati.
Riassumendo: in nome di un presunto confronto, si apre credito all'unico gruppo islamico in Italia che professa proprio idee opposte, e che cerca di presentarsi con un aspetto pulito alla società civile. In nome del confronto si ascolta l'unico gruppo che non vuol sentire, e non si da altrettanto voce a chi si oppone loro, presentando un modello di convivenza sulla base di comuni leggi e regole civili, differenziando solo il comportamento della sfera religiosa. Vogliamo davvero concedere tutto a chi non lo merita, danneggiando così chi invece si batte per una società migliore e più uguale?

Questo è un articolo pubblicato il 30-11--0001 alle 00:00 sul giornale del 21 agosto 2007 - 2604 letture
In questo articolo si parla di immigrati
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