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Rocconi: Cristo è il senso della nostra vita

Mons. Gerardo Rocconi Vescovo di Jesi 6' di lettura 23/11/2008 - Il Vescovo di Jesi, Mons. Gerardo Rocconi, nell\'omelia della celebrazione di domenica 23 novembre, commenta il passo (25.31-46) dal Vangelo secondo Matteo.

Dal Vangelo secondo Matteo (25.31-46)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” .


Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».




Questo vangelo oggi viene proposto nella festa di Cristo Re. E quindi ci si presenta il Cristo-Re che rivendica a sè il potere del giudizio e della decisione. Ma non possiamo perdere di vista come questo re-giudice si è presentato nella sua vita terrena, in particolare durante la passione:


- un fascio di spine conficcate in testa: è la corona regale;


- una canna per burlarlo: è il suo scettro;


- un drappo rosso simbolo dei pazzi: è il suo manto regale;


- la croce: è il trono dal quale Gesù regna.


Gesù è veramente Re, ma un re così diverso dagli altri. Un Re al quale interessa solo donare vita; un re che con la sua morte si conquista un popolo di semplici, umili, peccatori che però sono rinnovati e perdonati. Un Re-giudice, sì, ma questa espressione non esclude la misericordia e il dono di sè. E’ il Re-Pastore che offre la vita per le pecorelle (Gv 10). Non possiamo perdere di vista tutto ciò parlando del giudizio. Il primo atto del giudizio sarà la discriminazione dei buoni, chiamati poi i “benedetti del Padre mio”, dai cattivi, chiamati “maledetti”. Cristo, pur definendosi re, invita ad entrare nel Regno del Padre suo. E quale sarà il criterio di separazione?


Il discorso di Gesù riportato nel capito 25 del vangelo di Matteo nel suo insieme ci offre più criteri per salvarsi: la fede, l’operosità..... Il brano evangelico di oggi sottolinea come terzo criterio di salvezza l’aver amato, servito, aiutato, consolato. E Cristo afferma che in ognuna delle situazioni difficili degli uomini Egli era presente, fino al punto che “ciò che si è fatto a uno di questo fratelli più piccoli, lo si è fatto a Lui”. Ci si insegna la salvezza viene dalla fede, ma la fede, conseguentemente, deve esprimersi nelle opere, per cui senza opere è morta. E comprendiamo anche come il giudizio del Giusto Giudice riserverà delle sorprese, perchè “la carità copre una moltitudine di peccati” (1 Pt 4,8).



Gesù stesso ci mette in guardia di fronte alle sorprese che ci potrebbero essere: “Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità” (Mt,7,22-23). E’ molto chiaro, pertanto, questo criterio che Gesù ci ha dato per sapere se facciamo parte del Regno: è vedere se mettiamo in pratica le opere di misericordia. Accanto alla fede si esige una operosità intensa caratterizzata dal vivere la carità. Altrimenti si è di quelli che gridano “Signore, Signore”, ma senza fare la sua volontà. Di loro Gesù dice: “Non entreranno nel Regno dei cieli” . Vivere la carità è donarsi, perdersi, morire. Quindi è croce.



Del resto il nostro re ha regnato dalla croce, con la croce si è conquistato un regno. Per i suoi seguaci la strada è la stessa: offrire la vita, anche attraverso la croce. Infatti il Regno di Dio appartiene a chi vivrà nello stesso atteggiamento del suo re: Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. L’accettare la croce, che è la fatica della fedeltà e l\'impegno del dono di sé, è lo stile di chi vuol appartenere al regno. A tutti auguro la profonda e vera gioia di appartenere a Cristo, Egli che è il senso della nostra vita, la speranza che ci sostiene, la pace e la benedizione che ci accompagnano.






Questo è un articolo pubblicato il 23-11-2008 alle 01:01 sul giornale del 24 novembre 2008 - 2676 letture

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