Idv: l'8 marzo parla di dignità

La grammatica italiana definisce il sostantivo “dignità” come “nome comune di cosa, astratto, femminile,singolare”. Il dizionario della lingua italiana definisce la “dignità” in termini di aspetto e comportamento improntati alla compostezza, alla serietà, alla congruità rispetto alla moralità e ai ruoli assegnati.
L’essere indicata quale “nome comune” rimanda al fatto che la dignità è estesa non a qualcuno ma a tutti, alla comunità, alla collettività, condivisibile dall’intero contesto civile.
L’essere di consistenza “astratta” rimanda alla difficoltà di poterla delimitare, coartare dentro confini concreti ma, soprattutto, rimanda a quel mondo interiore impalpabile, eppure assolutamente presente nella testa e nella pancia di ciascuno di noi, che ciascuno impiega l’intera vita a costruirsi e a coltivare sulla base di propri convincimenti ed esperienze.
L’appartenenza al mondo “femminile” rimanda ad un pensiero di fertilità e fecondità: la dignità genera vita, moltiplica le possibilità e le opportunità, non conosce relazioni e comportamenti aridi bensì quelli prolifici di buone azioni e buone prassi.
Infine, è “singolare” perché la dignità è unica, non si possono ipotizzare varie dignità, al più si possono indicare veri tipi di dignità legati a status e ruoli diversi ma i tratti che connotano la dignità hanno la proprietà di essere riconoscibili e riconosciuti da ciascuno e da tutti.
Qualora essi non lo siano, vuol dire che la dignità è stata già sostituita dal suo contrario: la indegnità.
Alla luce di questa riflessione assolutamente personale e, quindi, opinabile, mi chiedo quale collocazione possa trovare l’antica diatriba tra mondo maschile e mondo femminile.
l genere femminile e il genere maschile quale specificità avrebbero nella costruzione della dignità se la dignità è unica e anche riferibile a tutti?
Mi auguro che nessuno pensi ancora che esiste una dignità maschile e una dignità femminile altrimenti bisognerebbe cantare un requiem a tutta la ricerca filosofica, sociologica, antropologica e storica inerente il femminismo. Pertanto, al di là di epoche, convincimenti, orientamenti, obiettivi, strumenti diversi, il denominatore comune rimane il sostanziamento della dignità e nessuno dei generi di appartenenza può vantare il diritto di prevaricazione sull’altro, non ce n’è uno trainante e un altro che “dà una mano” in una inequivocabile condizione di sussidiarità.
I generi di appartenenza sono strettamente legati dallo stesso destino in misura paritaria: procreare dignità.
Quando un neonato viene picchiato o buttato via, è violata e violentata la dignità maschile o la dignità femminile?
Quando un disabile viene denigrato ed emarginato, è violentata e violata la dignità femminile o la dignità maschile?
Quando un malato anziano è in un letto e le sue carni sono mangiate dalle piaghe anche se i protocolli operativi risultano accurati, è violata e violentata la dignità maschile o la dignità femminile?
Quando un cittadino offeso dall’incuria e dalla arroganza delle pubbliche istituzioni reclama giustizia, è violentata e violata la dignità femminile o quella maschile?
Semplicemente è violentata e violata la dignità.
Tutti, donne e uomini, siamo chiamati a montare la guardia per difenderla e onorarla con le armi delle azioni, delle parole e dell’integrità personale. Dire “facciamo qualcosa come donne” non mi trova d’accordo: non c’è da pensare a fare qualcosa, c’è da iniziare a fare le prove tecniche di governo, di buon governo per difendere e onorare la dignità di tutti affinché non cada vittima di attentati.

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