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Fondo regionale di solidarietà. Cosa suggeriscono i dati sull’utilizzo del Fondo per l’annualità 2017?

5' di lettura 15/01/2019 - La regione Marche nel dicembre scorso ha trasferito ai Comuni, a valere sul 2017, le quote del Fondo Solidarietà a sostegno degli oneri assunti per l’assunzione, in tutto o in parte, dell'importo delle rette di ricovero di utenti in alcune strutture residenziali per la salute mentale. Il Fondo è stato utilizzato al 50%. Dall’analisi emerge che il contributo ha riguardato circa il 20% dei potenziali beneficiari. La ragione, come previsto, sta nella modalità di erogazione del contributo.

Con il decreto 291 del 21 dicembre 2018 la regione Marche, attraverso gli Ambiti territoriali, ha trasferito ai Comuni che hanno assunto gli oneri (totali o parziali) delle rette di degenza in alcune residenze per la salute mentale, la quota corrispondente del Fondo Solidarietà, sulla base di quanto stabilito nella DGR 1065/2018 e nel decreto 161/2018.

Riguardo ai contenuti ed alle problematiche applicative del Fondo, rimandiamo al nostro precedente approfondimento, Dopo la delibera sul Fondo di solidarietà. La Regione, i Comuni, gli utenti. Ricordiamo che, sulla base delle disposizioni regionali, la quota trasferita dalla Regione ai Comuni che hanno assunto integralmente o parzialmente la quota sociale, è calcolata sulla base delle soglie ISEE definite dalla DGR 1065/2018. A valere sull’annualità 2017, nel caso in cui il Comune, pur senza regolamento ISEE, abbia pagato interamente o in parte la retta, la Regione eroga il contributo, a patto che venga inviata attestazione ISEE dell’utente (per dettaglio si veda decreto 161/2018).

Con il decreto 291/2018 siamo in grado di verificare quanti siano stati i beneficiari nel 2017, quanti Comuni abbiano fatto richiesta di contributo (avendo assunto in parte o in tutto il costo della retta), quanto dei 2 milioni di finanziamento del Fondo regionale sia stato utilizzato. Ciò consentirà anche di valutare se la principale critica sull’impostazione dell’Atto trovi conferma nei dati. Ovvero che gli utenti aventi diritto all'integrazione della retta, sulla base del contenuto della DGR 1065/2018, continueranno a non beneficiarne, se il Comune ritiene non conveniente fare la domanda, non avendo pagato, precedentemente, in tutto o in parte la quota sociale. In sostanza, il Comune è motivato a fare domanda se il finanziamento rimborsa una spesa già sostenuta, mentre non ha alcuno stimolo a farla, se non ha assunto alcun onere ed ha lasciato il costo sociale interamente in carico all'utente. Rimandiamo sul punto al nostro contributo sopra richiamato, Dopo la delibera sul Fondo di solidarietà. La Regione, i Comuni, gli utenti).

La tabella 1 sintetizza la situazione sull’anno 2017. I beneficiari sono 111 su 156 richieste (44 non ammesse), residenti in 16 dei 23 Ambiti territoriali sociali (ATS). 34 (compresi quelli con domande non ammesse) sono i Comuni che hanno fatto domanda. Dai Comuni di 7 ATS non sono pervenute domande. In 7, ci sono soltanto 7 beneficiari. Il trasferimento regionale è di poco superiore al milione di euro (circa il 40% è la quota che il Comune deve rimborsare all’utente). Il punto è: 111 su potenzialmente quanti? Non meno di 650. Si tratta di un dato che abbiamo già stimato in altri contributi: circa 350 sono gli utenti delle Comunità protette e dei Gruppi appartamento. Almeno altri 300 sono le persone con disturbi mentali inserite all’interno di “moduli dedicati” (desumibile anche dall’allegato C, DGR 1115/2018). Forse qualche decina gli utenti fuori Regione.

Ciò conferma che per molti potenziali utenti i Comuni non hanno attivato alcun percorso. Se gli utenti non hanno cercato i Comuni, è perché nessuno ha detto loro di farlo; se i Comuni non hanno cercato gli utenti, è perché non ne assumevano gli oneri. E per quale ragione i Comuni non hanno cercato gli utenti, se era presente un contributo regionale cui poter accedere? Per il semplice fatto che l’aumento del numero dei beneficiari avrebbe potuto comportare un contributo parziale sulla contribuzione comunale stante i requisiti fissati dalla Regione. E dunque il Comune si sarebbe potuto trovare nella condizione di doversi accollare oneri mai assunti.

Il nodo è tutto qui: perché il contributo regionale sia conveniente per i Comuni deve essere a rimborso; e perché ciò si verifichi, deve essere cambiato il percorso del contributo: l’utente è chiamato a contribuire secondo quanto stabilito dalla disposizione regionale (niente, in parte, tutto). Quello deve pagare e quello paga. L’altra quota rimane in capo al Comune. In caso contrario, il diritto dell’utente a pagare quanto previsto rimane aleatorio e dipendente dalla scelta comunale di attivare il percorso. I numeri della tabella 1 sono, in questo senso, inequivocabili. Se l’obiettivo della giunta regionale era di provocare una pressione degli utenti sui Comuni, al fine di far loro assumere la dovuta compartecipazione al costo della retta, il risultato non pare raggiunto. La modalità adottata (come dimostrano i dati) si ritorce contro i beneficiari ed a tutto vantaggio dei Comuni.

Non basta, dunque, per il futuro (DGR 1723/2018) allargare la potenziale platea dei beneficiari (comunità alloggio disturbi mentali) e ipotizzare l’allargamento anche ad altri servizi (nello specifico disabilità). Se anche, come stabilito dalla legge di Bilancio regionale, il Fondo dovesse assestarsi sui 3 milioni, senza il cambiamento delle modalità di erogazione i miglioramenti rimarranno marginali.


   

da Gruppo Solidarietà




Questo è un comunicato stampa pubblicato il 15-01-2019 alle 10:10 sul giornale del 16 gennaio 2019 - 438 letture

In questo articolo si parla di attualità, Gruppo Solidarietà

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