Vivere di emozioni: cosa fa bene alla coppia?

Io e mio marito a malapena riusciamo a darci le spallate lungo il corridoio di casa, mentre sfrecciamo in senso opposto, ci muoviamo come programmate macchine da guerra, da una stanza all’altra, nell’intento di mettere un po’ di ordine, fra visione e pensieri. Ci permettiamo a volte un fugace meeting, in piedi, per la ripartizione dei compiti.
Breve racconto di due, che come noi, nella quotidianità, a fatica riescono ad incrociare lo sguardo. Due come altri milioni forse.
Dove sbagliamo? Oltre alla fatica non ho tempo di accollarmi anche i sensi di colpa. Le parole che dopo l’avvento dei figli riusciamo a dedicarci in una giornata tipo sono: “Buona giornata ‘mo’” e “Buonanotte ‘mo’”. Per il resto, la nostra comunicazione si incentra su frettolosi scambi di incombenze e criticità, senza nemmeno discuterne, a turno uno comanda e l’altro esegue. Informazioni di sopravvivenza base del tipo: “che gli possiamo dare a figlio n. 1 come merenda da portare a scuola, che non c’è più il pane fresco?” “La banana, dagli la banana, che tanto ritorna a casa integra e almeno la volta dopo, vedrai mangia pure il pane duro, piuttosto di non riavere la frutta!” “Lo hai firmato tu il modulo per il corso di robotica?” “Ho perso la password del registro elettronico, tu ce l’hai?” “Il cappello di figlio n. 1 è rimasto in macchina tua?” “Figlio n.1 ha i parastinchi che gli coprono a malapena le caviglie, glieli ricompri tu stasera?” “Per cena ho scongelato il minestrone, ci metto le stelline o il miglio?” “Quale dei quattro è il mucchio di panni piegati di figlio n.2 che ci aggiungo anche questi calzini, sempre che siano i suoi?” “Chi porta figlio n. 1 al controllo dell’apparecchio dal dentista?” “C’è da svuotare il borsone da calcio!” “C’è da controllare se figli n. 1 e n. 2 hanno preso i pidocchi a scuola, è arrivata oggi la comunicazione, ci pensi tu col pettinino?” “Prendi lo sturalavandini che figlio n. 2 ha fatto cadere un cucchiaino dentro il bidet!” "Mi è rimasto un fazzoletto di carta nella tasca del grembiule quando ho lanciato la lavatrice, mi aiuti a togliere tutti i frammenti bianchi nei restanti 9 kg di bucato?” “Figlio n.1 deve finire la ricerca su Marte, che prima di sport non ha fatto in tempo, dagli un occhio tu”. “A figlio n. 2 gli avevi promesso ieri, che oggi gli avresti montato la pista delle macchinine col giro della morte, gliel’hai promesso e devi farlo!”
Per non parlare dei messaggi con alfabeto “Morse” che oramai ci scambiamo da anni su Whatsapp: “pane ok?” “X cena, svizzere e patate lesse dentro pent. a press”. “C’e’ pac. corr. x te, “cazziga” compri sempre?” Le uniche volte che forse ci tocchiamo mentre parliamo è quando uno dei due fa all’altro: “me fa male qui, senti! Che dici, que pò esse?”
Noi, non solo non ci tocchiamo, nemmeno ci guardiamo, perché mentre parliamo, spesso siamo a testa bassa, intenti a sfaccendare, dandoci le spalle. Durante quelle rare serate in cui i figli vanno a dormire prima di noi, dopo averci giocato “all’uomo nero”, a “un, due, tre stella”, ascoltato interessanti discorsi sui “Pokemon” o in merito alla collezione di biglie del supermercato, disegnato la mappa del quartiere per progettare il giro più redditizio “dolcetto o scherzetto” ad Halloween, letto con figlio n.2 il libro di “Riccio Capriccio” e con figlio n.1 il libro di fumetti di “Sio”, che in teoria dovrebbe far ridere ma io, alzo le mani perché, non solo non capto l’ironia, ma non capisco proprio le freddure, (beati i tempi di “Pierino la peste”), insomma, da coppia perfetta che facciamo? Ci guardiamo un film insieme? No! Intrecciamo le mani e le gambe al calduccio sotto il plaid? No!
Noi ci dileguiamo, nei punti più estremi della casa. Di solito uno in garage a cambiare i copertoni delle bicicletta o a smontare le ali del drone e l’altro in giardino a tagliare le foglie secche oppure a scrivere, oppure in due stanze diverse, alla ricerca del silenzio, evitando ogni possibilità d’interazione e confronto.
Ci diamo proprio fastidio a fine serata o meglio, siamo entrambi bramosi di ritrovare noi stessi, le nostre passioni prima di riuscirci a donare all’altro. Dobbiamo ricomporci dopo esserci rarefatti, dilapidati in attenzioni, coccole e abbracci verso i figli. Per quando ci siamo ritrovati è sempre ora di andare a dormire, con tre occhi chiusi su due.
Quanto dureremo non lo so. Per ora siamo arrivati a ventitré anni di cammino insieme, fra alti, bassi e parecchi intermedi. Forse quei presuntuosi di Harvard saranno più soddisfatti di noi, con le manine intrecciate a farsi i grattini sull’avambraccio, mentre disquisiscono del nulla, ma di coppie soddisfatte sul lungo termine ne vedo veramente poche. Tutti bravi i primi tempi, ma poi, quando arriva il momento di doversi annientare, fare i passi indietro anche se si ha pienamente ragione, far finta di niente ogni giorno dopo, ricominciando sempre da capo, quando si tratta di non stare lì a puntualizzare e polemizzare ogni gesto e ogni parola, quando in certi periodi si punta tutto sulla ferma volontà di stare insieme e basta, allora arriva la resa dei conti e credo che toccarsi mentre ci si sputa veleno addosso a poco serva o sia servito.
Da Harvard dovrebbe passare il concetto che la felicità assoluta non esiste in generale, specialmente nelle coppie, a meno che non si è dei “sempliciotti”, esiste però la ricerca della felicità, esiste il mettersi in discussione, esiste la volontà, esistono i periodi buoni e quelli meno buoni e spesso basta avere pazienza e aspettare che passino, a volte facendosi da parte ad osservare.
La felicità è soggettiva e io non la vedo tanto come uno stato esistenziale perenne, una sensazione costante di appagamento. La felicità è faticosa e per quanto mi riguarda deriva dalla stabilità in generale e dalla profondità dei rapporti umani. A poco conta toccarsi mentre si parla se non c’è tutto il resto.
Di prima mattina poi è un piacere rivedersi, ma abbiamo abitudini proprio diverse. Mio marito appena apre gli occhi deve fare colazione altrimenti gli viene il mal di testa e io invece appena sveglia non ho proprio appetito perciò mentre lui è in cucina io sono in bagno e viceversa. Direi una coppia perfetta, con incastri al millimetro e al secondo.
Andiamo a periodi anche noi, a volte ci amiamo come i primi tempi, altre ci ignoriamo come per i restanti ventidue anni dopo. Prima dei bambini eravamo capaci di percorrere centinaia di chilometri in macchina, ascoltando la musica senza pronunciare parola. Nessuno dei due si scandalizzava, ognuno proiettato nei suoi sogni, risucchiato dai suoi pensieri, fuori dal finestrino.
Per noi stare bene significa avere ampio respiro. Durante il giorno non ci chiamiamo mai, perché entrambi, ad ogni squillo di telefono esclamiamo: “adesso chi è che rompe?” Perciò non ci “rompiamo” a vicenda. Abbiamo i nostri momenti segreti, facciamo alcune piccole follie, abbiamo poche passioni che ci accomunano ma forti, progetti a lungo termine e soprattutto al di fuori della nostra coppia, per quanto diversi ed individualisti, con gli altri stiamo molto peggio che fra di noi. Oramai è appurato.
Poi ci tocchiamo anche eh, sotto le lenzuola le carezze non mancano, a volte andiamo oltre il corpo, entriamo nelle vene, i respiri che si uniscono e ci trasportano nei nostri abissi, le nostre mani sicure che si trovano e si saldano sopra a tutte le incertezze, gesti sfiorati che riescono a capovolgere ogni discorso ma, specialmente in questi giorni ci troviamo a dire: “Mi sa proprio che è ora di mettere il piumone, senti che gambe gelate!” “Pure te sei gelato!” “Scaldiamoci per un po’ anche se si azzarda”. “Va bene, ma stasera ti alzi tu per andare a prendere il phon!”

Questo è un articolo pubblicato il 24-10-2021 alle 10:10 sul giornale del 25 ottobre 2021 - 3909 letture
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