Vivere di emozioni: bisognerebbe essere ciò che vogliamo che i nostri bambini diventino

Mi ricordo che da piccola, non so bene il perché, mi vergognavo un po’ del fatto che mio padre fosse l’unico della nostra via a tenere in ordine le aiuole comunali. Forse per il fatto che si distingueva dagli altri, che si esponeva, che si comportava in modo diverso e quella difformità era ai miei occhi criticabile. Oggi so che era semplicemente migliore. Alcuni vicini gli facevano notare che sarebbe stato compito del “comune” raccogliere le foglie, tagliare l’erba o potare un ramo. Mio padre, con il sorriso sempre in bella vista, rispondeva che lì ci viveva lui, non il “comune” e che vedere curato lo faceva stare bene. Erano più le critiche che gli apprezzamenti, di chi, a braccia conserte lo guardava fare, mentre era a testa bassa, senza chiedere niente a nessuno. Forse faceva rabbia il fatto che trovasse appagamento in qualcosa di non dovuto e questo, in una società malsana ha il potere di destabilizzare.
Negli anni l’ho osservato fare, con costanza, passione e dedizione. Nemmeno io lo aiutavo, figuratevi, al massimo gli ripetevo le stesse cose dei vicini: “Ma chi te lo fa fare?” “Nessuno”, mi rispondeva. “Piace farlo a me”.
Sono passati tanti anni da quei tempi e mi sono trovata, senza rendermene conto, nel mio piccolo a fare le stesse cose che faceva lui. Solo una sera d’estate capii il senso forte dell’esempio, quando un vicino, vedendomi in ciabatte e pantaloncini ad annaffiare l’albero fuori dal mio cancello mi disse: “ma chi te lo fa fare di sprecare la tua acqua per gli alberi del comune?”. In quell’istante mi sono ritrovata in un vorticoso gioco di flashback a intraprendere uno scomodo viaggio nella memoria. Ho visto scorrere almeno trent’anni di fotogrammi incrociati: babbo col rastrello in mano, io ragazzina, le montagne di foglie che portava fino al bidone, i suoi pantaloni corti, i miei figli, io che arrotolavo quindici metri di tubo dell’acqua, babbo e i suoi vicini, la mia via, io con i pantaloni corti, la mia vecchia via, la mia voglia di espormi, la sua voglia di fare, fuori dal suo cancello e io fuori dal mio.
Nei suoi gesti c’erano molti più insegnamenti che in tante parole.
Così come noi guardiamo cosa fanno i nostri figli delle loro vite, loro guardano noi per vedere cosa facciamo delle nostre.
Il mio obiettivo più ambizioso, la sfida più appassionata è quella di provare a trasmettere loro il senso delle cose. Mi piace pensare che, nonostante l’epoca in cui sono nati, riescano a vivere con i ritmi dettati dalla natura, vorrei che non siano scollegati, vorrei che si ricordino di guardare spesso il cielo, vorrei che sperperassero energie a raccogliere olive all’occasione, che perdano l’orientamento provando a prendere al volo le foglie che si staccano dagli alberi. Mi piace che festeggino Halloween ma che il giorno dopo vadano anche a far visita ai defunti al cimitero, che ad agosto si mangino i pomodori e a novembre le noci. Che si faccia il presepe se si ha anche intenzione di pregare qualcuno, che il Natale non si riduca ai regali, che se si prende un impegno lo si porti a termine, anche se non ci va più. L’uniformità è comoda perché dispensa dal pensare e mi infastidisce molto.
I bambini sembrano distratti, ma a loro non sfugge niente, se accenderemo per un po’ la musica e inizieremo a ballare o a cantare anche se abbiamo un bel po’ di problemi è probabile che all’occasione facciano lo stesso, se criticheremo tutto e tutti, loro saranno il prolungamento della nostra lingua, se ci lamenteremo di ogni cosa faranno altrettanto. Se non avremo paura di essere diversi, loro vestiranno il nostro coraggio e non avranno paura di esporsi, di uscire fuori dal cancello con improponibili pantaloni corti a fare ciò che inconsapevolmente sentono sia giusto per loro.
Siate ciò che vorreste vedere nei vostri figli! Le parole saranno probabilmente superflue, specialmente quando diventano troppe, quando quel sottofondo perenne di rimproveri e consigli diventa noioso e lamentoso.
Sandro Pertini nel suo messaggio di fine anno nel dicembre del 1978, disse: “i giovani non hanno bisogno di sermoni, i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, coerenza e altruismo”.
C’è chi consiglia addirittura di non temere di mostrare come si lotta per cavarsela quando si è in difficoltà, questo insegna a combattere, per provare a risolvere i problemi senza subirli e basta.
Due genitori che collaborano in casa sono il miglior esempio di rispetto per la donna, due insegnanti che condividono progetti sono un esempio di tolleranza delle idee altrui.
E’ un buon esempio anche mostrare che si è sempre pronti a imparare cose nuove, che ci si cimenti in attività sportive ma anche artistiche e creative. I bambini fin da piccolissimi memorizzano i comportamenti dei genitori tra le mura di casa, i valori si esprimono lì, con decisione. L’esempio vince sempre su qualsiasi discorso.
Il mio albero comunque è il più alto e il più grande della via e ogni volta che ci passo accanto, accarezzo il suo ruvido tronco. Mi viene da sussurragli: quanto sei diventato grande, piccolo mio! Inutile nasconderlo, ne vado molto fiera. Alcuni si sono seccati purtroppo, altri non godono di ottima salute. Il mio tubo dell’acqua non arrivava a quelli successivi, sarei stata felice di contribuire alla loro forza e alla loro bellezza. In molti d’estate cercano ombra sotto l’albero “del comune” di fronte al mio cancello e se possono godere di un po’ di refrigerio non sarà grazie a me, nemmeno grazie al comune, ma grazie a mio padre che mi ha insegnato ad essere diversa e ribelle all’omologazione, anche a costo di passare per scema e a discapito del bòntòn all’occorrenza.
Credo che si educhi con quello che si è, lasciamo ai figli tutto il tempo per criticarci, prima o poi, in un gesto, nelle loro reazioni, dentro le loro relazioni, nelle loro scelte, calcheranno passi visti fare.
Il senso di inadeguatezza che ci portiamo addosso è sempre colpa di qualcuno o che non ci ha amato o che ci ha amato male, soprattutto quando eravamo bambini. Da grandi è molto difficile che il primo capitato ci possa scalfire in profondità se l’autostima è stata rinchiusa dai nostri genitori a dovere e al momento giusto nel caveau della nostra anima. Nessuno si può sostituire a loro. Credo che stia tutto lì il segreto, quindi non ci fermiamo di fronte alle critiche dei figli, noi sappiamo dove vogliamo condurli e siamo onesti con loro anche di fronte ai nostri sbagli, apprezzeranno anche quelli.
Tu sei una persona diversa che vuole essere uguale. E questo, dal mio punto di vista, è considerato una malattia grave.
Paulo Coelho, Veronika decide di morire, 1998

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